“Il segreto dello zen consiste nel sedersi, semplicemente, in una postura di grande concentrazione (…) Allora apparirà la coscienza profonda e pura, universale e illimitata.” Taisen Deshimaru (1914 – 1982)
Il buddhismo zen consiste essenzialmente nella pratica di zazen, la meditazione seduta con le gambe incrociate, la schiena diritta e l’attenzione portata alla respirazione. Ciascuno può fare un’esperienza di silenzio e di raccoglimento nell’unità del corpo e dello spirito.

Il Maestro Zen Beppe Mokuza Signoritti in meditazione
È la meditazione attraverso la quale Buddha ha potuto comprendere l’origine della sofferenza e liberarsene. “Non credetemi sulla parola, sperimentate voi stessi!” è in seguito stato il suo primo consiglio, stabilendo quindi la necessità di percorrere noi stessi la Via del Buddha.
Né yoga, né preghiera, né terapia… Il buddhismo zen non è una conoscenza che deriva da un’analisi o da un ragionamento. È una pratica immediata, istantanea, quella del momento presente. L’esperienza dello zen oltrepassa il semplice aspetto terapeutico o corporale per la sua dimensione di risveglio e differisce dalla preghiera per la sua assenza di un oggetto esteriore.
Praticare la meditazione zen, è quindi sviluppare il pieno spazio dell’esistenza umana e ridare alla vita tutta la sua bellezza e la sua dignità. Le azioni quotidiane, che siano nobili o comuni, si snodano come le pietre di una collana preziosa. Ciascuna azione è un tesoro e dà senso all’insieme.
“La nostra espirazione è l’espirazione dell’intero universo. La nostra inspirazione è l’inspirazione dell’intero universo. In questo modo, in ogni momento, noi compiamo il grande lavoro senza limite. Avere questo atteggiamento significa fare sparire ogni sventura e creare la felicità assoluta”. Kodo Sawaki (1880 – 1965)

Durante la meditazione, la corretta respirazione è essenziale. È tranquilla e stabilisce un ritmo lento, potente e naturale. L’espirazione è lunga e profonda. I maestri l’hanno spesso paragonata al muggito di una mucca. L’inspirazione avviene naturalmente. Il corpo viene rafforzato, la mente e la circolazione sanguigna vengono rinvigorite. Questa espirazione lenta, calma e profonda spazza via ogni complicazione. La mente diventa serena come un cielo senza nuvole.
Portando l’attenzione alla postura del corpo e alla respirazione, si riporta la mente al corpo raggiungendo l’unità. I pensieri non si snodano più uno dopo l’altro. Compaiono, com’è nella natura delle cose, ma, se si mantiene l’attenzione sulla postura, scompaiono senza lasciare traccia. In modo naturale e inconsapevole, la volontà personale cesserà di agire e di perseguire uno scopo. Solo il momento presente rimane.
Si consiglia vivamente di non eseguirla da soli e di farsi consigliare da una persona esperta in un dojo (luogo dedicato alla pratica di zazen).
“Nel nostro mondo agitato, praticare lo zazen significa ritornare alla dimensione vera dell’essere umano e riscoprire il fondamentale equilibrio della nostra esistenza.” Taisen Deshimaru (1914 – 1982)
Lo zazen influenza l’intero nostro essere, corpo e mente. Con la pratica regolare, si approfondisce la nostra comprensione della nostra stessa vita. Questa comprensione si riflette allora in ogni azione quotidiana. Quando la nostra mente rimane in armonia con il momento presente in tutte le azioni della vita, le nostre azioni sono allora naturalmente giuste.

Meditazione kinhin nella natura
Le nostre menti sono placate, senza complicazioni, calcoli o paure. L’egoismo diminuisce e noi seguiamo il flusso della vita cosmica in maniera più naturale. In questo modo, i nostri rapporti con gli altri diventano più chiari, più trasparenti. Compare la compassione, compare la saggezza. Possiamo allora dedicarci a ciò che è essenziale, e la vita diventa semplice.
Lo zazen è la forma adulta della nostra vita.
È vera felicità e autentica libertà.
Kin hin è la continuazione dello zazen stando in piedi, si pratica tra due sessioni di meditazione. È una camminata guidata dal respiro dove la concentrazione su ogni dettaglio della postura è essenziale.

Kin hin
Il pollice sinistro si chiude nel pugno sinistro e si appoggia al plesso solare. La mano destra avvolge il pugno sinistro. Gli avambracci sono paralleli al suolo. La schiena è dritta, il mento leggermente rientrato, la nuca distesa, lo sguardo rivolto in basso.
L’espirazione è lunga, profonda e silenziosa; si espande sotto l’ombelico e dona stabilità. Alla fine dell’espirazione il corpo si distende, l’inspirazione avviene naturalmente e si avanza di mezzo passo.
Kin hin sviluppa dignità e presenza. La pratica ripetuta, come nello zazen, influenza il comportamento quotidiano e aiuta a ritrovare equilibrio e compostezza.
Il samu è il lavoro fatto con la concentrazione dello zazen. Tutti i maestri della trasmissione, in particolare il Maestro Hyakujo (720-814), hanno insistito sull’importanza del samu.

Samu – Lavoro con la concentrazione dello zazen
Hyakujo, anche in età avanzata, aveva l’abitudine di partecipare al lavoro quotidiano nei campi insieme ai suoi discepoli. Un giorno gli nascosero gli attrezzi, pensando che il maestro dovesse risparmiarsi. Hyakujo dichiarò: «Un giorno senza lavoro è un giorno senza cibo».
E smise di mangiare fino a quando i discepoli gli restituirono gli attrezzi. Nello Zen il lavoro è visto come qualcosa di estremamente prezioso poiché permette di praticare la Via nell’azione. In un tempio, la pratica di zazen si alterna con il samu, che garantisce sia il sostentamento e il funzionamento del tempio, sia lo svolgimento delle sesshin. Da zazen scaturisce una grande energia; come va utilizzata? Con quale scopo? II samu consiste nel compiere uno sforzo senza pensare a una retribuzione personale.
La Via del Buddha non si studia esteriormente, ma attraverso il corpo e la mente.
Zazen si conclude con una cerimonia. Ogni atto della cerimonia, come bruciare l’incenso o cantare i sutra, ha un significato profondo. È una preghiera recitata con il corpo. Durante la cerimonia, non è necessario agire sulla base del pensiero.

Cerimonia “Pensare con il corpo” – Maestro Zen Beppe Mokuza Signoritti
Senza zazen la cerimonia sarebbe un formalismo, simile a un fiore senza profumo. Ciononostante, conferisce alla pratica una dimensione religiosa, affina lo spirito e rende il comportamento nobile e sensibile. Le maniere influenzano lo spirito. La ripetizione della cerimonia pervade l’intero essere e diventa uno strumento di educazione profonda che si prolunga nella vita quotidiana.
Sia durante la cerimonia del mattino, dopo la sessione di meditazione, che durante la colazione e il pranzo, viene proposto agli allievi di recitare i sutra della tradizione Zen.
I Sutra sono dei testi che riproducono i discorsi del Buddha o di antichi Maestri.
Nello Zen, i sutra recitatati dopo la meditazione sono l’espressione della propria pratica, è sia comprensione intellettuale che vibrazione energetica.

Recitazione Sutra
La loro recitazione, è soprattutto, come lo zazen, essere Uno insieme agli altri abbandonando il proprio ego ed ogni individualità. Le cerimonie sono spesso dedicate “a beneficio di tutti gli esseri”. I testi sono in cino-giapponese sanscrito.
Usare tutto il proprio corpo per l’universo stesso è la nostra santa pratica. Usarlo solamente per l’ego significa non fare nulla più degli uccelli, dei cani, dei gatti e delle larve. Kodo Sawaki (1880 – 1965)
Sanpai: inchinarsi tre volte. Prostrando il corpo a terra si abbandona il proprio ego. L’uomo ha la tendenza a voler conquistare e dominare il mondo. Ma a volte ha bisogno anche di tornare alla terra.

Sanpai
Questo gesto religioso universale simboleggia l’umiltà di fronte alla natura e a tutto il cosmo.
Dopo aver praticato zazen, discepoli e maestro si inchinano insieme. Entrano in armonia e si fondono in un unico spirito. Sanpai oltrepassa l’aspetto individualista dell’uomo e lo apre a una dimensione più elevata.
Concentrarsi su ogni punto.
Kesa, kasaya in sanscrito, significa color ocra, il colore della terra. È l’abito del monaco zen, simbolo della trasmissione da maestro a discepolo, emblema della vita spirituale.

Kesa
Dopo aver ottenuto il satori sotto l’albero della Bodhi, il Buddha Shakyamuni raccolse dei vecchi lenzuoli, li lavò, li tinse e li cuci insieme. Confezionò così il primo kesa, che indossò per fare zazen. Quel kesa fu trasmesso a Mahakashyapa, e poi da patriarca a patriarca, da Bodhidharma fino ai giorni nostri. Dogen scrive: “ll kesa è il cuore dello Zen, il midollo delle ossa”.
II kesa, composto da fasce di tessuto rettangolari assemblate che ricordano i campi di riso, deve essere di una tinta scura e simile al colore della terra. Più fasce ha, più è degno di rispetto. Portare il kesa permette di riflettere se stessi e di vedere la propria immagine. La postura di zazen diventa forte e sprigiona bellezza e dignità.
Circa 2.500 anni fa, un uomo che diventerà Buddha si siede sotto un albero in postura di meditazione (zazen) e si risveglia. Questo risveglio originale, che si sperimenta in zazen, fu in seguito trasmesso da persona a persona, attraverso i secoli, per giungere fino a noi.

La pratica della meditazione
La pratica della meditazione cambia di nome a seconda dei paesi attraversati: dhyana in sanscrito, poi ch’an quando arriva in Cina e, infine, diventa zen quando giunge in Giappone alla fine del XII secolo. In ciascuno di questi paesi il buddhismo assume un volto differente, riuscendo sempre ad adattarsi e a fondersi con le culture locali.
Dopo essersi diffuso praticamente in tutta l’Asia, lo Zen raggiunge gli Stati Uniti e l’Europa, nella seconda metà del XX secolo. Oggi rimane una tradizione viva, adattandosi alle sfide del mondo moderno.
“L’approfondimento teorico dello zen non esercita alcuna influenza reale su di noi, sulla nostra personalità. Leggere libri, apprendere nozioni non porta mutamento, non aiuta nella ricerca del satori. Quello che conta è la pratica, è zazen”. Taisen Deshimaru (1914 – 1982)
La Via del Buddha non si studia esteriormente, ma attraverso il corpo e la mente.

Maestro Zen Beppe Mokuza Signoritti
La vera comprensione si trasmette con la pratica e si deve riflettere in tutte le azioni della vita quotidiana. Cercare di comprendere soltanto attraverso i libri porta a una conoscenza relativa.